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15 Apr

Mattinata bioenergetica. Laboratorio corporeo per il benessere: 4 maggio 2024

Cari amici,

riprendo dopo qualche anno la mia attività seminariale. Il prossimo appuntamento di questa nuova serie è la “Mattinata bioenergetica” il 4 maggio a Firenze (zona Piazza Alberti). Vi sarei molto grato se voleste condividere la locandina nei canali e con le persone che vi sembrano opportune.

Un caro saluto, Christoph Helferich

Laboratorio energetico, 4 maggio 2024

08 Feb

Mattinata bioenergetica. Laboratorio corporeo per il benessere.

Cari amici,

riprendo dopo qualche anno la mia attività seminariale. Il primo appuntamento di questa nuova serie è la “Mattinata bioenergetica” il 2 marzo a Firenze (zona Piazza Alberti).  Vi sarei molto grato se voleste condividere la locandina nei canali e con le persone che vi sembrano opportune.

Un caro saluto, Christoph Helferich

01 Nov

Apertura Studio a Firenze

Vorrei informare gli interessati che da novembre 2023 il mio studio di psicoterapia a Firenze (Via Vanini, 11; zona Ponte Rosso) sarà aperto di venerdì.

Per info

12 Ott

Presentazione Corpo & Identità I, 2023

Presentazione

Il nostro primo numero del 2023 inizia con il ricordo di Alessia Azzini (14 ottobre 1975 – 4 febbraio 2023), compianta collega che viveva e lavorava a Milano.
E solo poco tempo fa, il 24 aprile di quest’anno, ci ha lasciato anche il nostro amato Senior Trainer Bob Lewis, una grande perdita per tutta la comunità bioenergetica. Grazie a Livia Geloso e Salvatore Scollo per la loro commemorazione empatica.
Segue il ricordo di un lutto collettivo, un avvenimento che ha scosso il paese: una poesia che uno dei naufraghi di Cutro aveva mandato a un parente in Svizzera che lo aspettava, poesia pubblicata poi sull’Avvenire del 7 marzo.

Dalla ricca gamma di contributi a questo numero presentiamo per primo La gioia di vivere. Arrendersi al corpo di Alexander Lowen. La trascrizione (il video è reperibile anche su You tube) dà tra l’altro una viva impressione della modalità particolare in cui Lowen interagisce con il suo pubblico, uno stile brillante, arricchito da brevi sequenze esperienziali, che
però non toglie nulla alla profondità dei temi trattati. E, infatti, come egli
sottolinea nell’introduzione alla sua conferenza, “è strano che sia uno
psicoterapeuta a parlare della gioia, perché questa parola non si legge nella
letteratura psicoanalitica o psicologica”.
È da tempo che Scott Baum, International Trainer e già Presidente
IIBA, indaga sugli aspetti problematici ovvero sull’ombra presente nella
psiche maschile. Nel suo articolo Invidia dell’utero: un punto di vista
bioenergetico, l’autore approfondisce questa tematica partendo da un
“fondamentale senso di inferiorità” degli uomini di fronte alla donna.

Infatti, il loro destino biologico – oggigiorno più che mai anche oggetto di
libera scelta personale – porta le donne a sfidare coraggiosamente le paure
più profonde, più angoscianti della nostra condizione umana: “A parte la
morte, l’unica esperienza inevitabilmente travolgente nella vita umana è il
parto”. Naturalmente, questa mancanza o inferiorità o fragilità esistenziale
dell’uomo di fronte al genere femminile doveva generare numerosi
meccanismi di difesa, e in questo senso l’articolo pone molti interrogativi,
anche piuttosto inquietanti, sulla persistente distruttività nella storia
umana.
In seguito al pensiero di Wilhelm Reich siamo abituati a vedere nel
nostro sistema muscolare, e in particolare nelle sue tensioni muscolari
croniche, la base fisiologica delle strutture caratteriali. Il contributo
dell’International Trainer Thomas Heinrich, Fascia e compagni, invece, si
iscrive in una crescente corrente della ricerca “psico-anatomica” (come la
possiamo chiamare) che vorrebbe attribuire questa funzione al sistema
fasciale. Si tratta di uno spostamento dell’attenzione che alla fine ha
prodotto un vero e proprio “cambiamento di paradigma dalla muscolatura
al sistema fasciale come nuova base anatomica delle strutture caratteriali al
di fuori del cervello”. Considerando il fatto che il sistema fasciale, tra le
sue molteplici funzioni, è anche l’organo della nostra propriocezione,
l’articolo di Heinrich apre nuove prospettive teoriche, non per ultimo con
implicazioni stimolanti per i nostri metodi di intervento esplicitate
nell’esempio della struttura caratteriale schizoide.
Viaggiando con Gabry di Cristina Pratolongo, analista bioenergetica
Siab, descrive un interessante percorso terapeutico di circa quattro anni e
mezzo con una giovane paziente. Come presenting problem, Gabry accusa
forti stati d’ansia e di attacchi di panico, ma rapidamente emerge come
argomento centrale la sua paura dei legami e del contatto profondo, emerge
insomma un problema con le relazioni intime che tanto fa pensare al libro
Eco e Narciso presentato alla fine di questo numero (“Amore, per Gabry,
voleva dire dipendenza e sottomissione, e questo lei proprio non lo poteva
sopportare”). L’articolo contiene, tra l’altro, anche delle preziose riflessioni
sul controtransfert, e nello specifico sul sottostante dialogo tra i corpi dei
due protagonisti, visto che la terapeuta fisicamente è molto più piccola
della sua paziente: “Aveva quasi paura di sovrastarmi e di spaventarmi:
non aveva del tutto torto, ma quando cominciai a sentire di più il mio
grounding e a contattare il mio respiro, questa paura scomparve”.

Emanuela Bellone è analista bioenergetica e madre di una figlia nata a

fine marzo del 2021, in pieno periodo Covid. Nel suo contributo Il
grounding nella relazione madre-bambino, l’autrice elabora questa
esperienza approfondendo così l’area della psicologia perinatale e dell’età
evolutiva. Come possono radicarsi affettivamente il feto e il neonato nel
corpo della madre, e quali sono i maggiori fattori avversi alla riuscita di
questo processo? Esiste ormai una notevole gamma di studi in ambito
bioenergetico sullo sviluppo del Sé nella prima infanzia (p. es., E. Reich,
Ventling, Geloso, Wendelstadt, Ballardini), che vengono bene utilizzate
dall’autrice e non per ultimo applicate alla nostra pratica come terapeuti
ovvero come “base sicura” dei nostri pazienti.
Segue Aiutare i bambini a scaricare l’aggressività negativa di Dennis
McCarty, Counselor diplomato in salute mentale dello Stato di New York
con oltre trent’anni di esperienza nel lavoro con bambini e adulti. Il suo
articolo è un buon esempio di applicazione creativa, originale dell’analisi
bioenergetica in campo della terapia infantile. In contrasto con la maggior
parte dei suoi colleghi, l’autore – “largamente influenzato dal lavoro del
Dr. Alexander Lowen” – ha sviluppato una specifica Dynamic Play
Therapy, una terapia dinamica del gioco che punta sulla centralità del
movimento e dell’esperienza spontanea, e in particolare “incoraggia e
facilita l’espressione sicura e tuttavia soddisfacente dell’aggressività
negativa”. L’autore porta numerosi esempi dei materiali utilizzati nel suo
lavoro, come il disegno, l’argilla, la sabbia e il puro gioco fisico,
includendo vari brevi casi clinici atte a illustrare bene “la natura
paradossale della terapia del gioco”, “il mix di humour e furia, di
aggressività negativa e gioco positivo che spesso coesistono nello stesso
momento”.
L’ultimo contributo a questo primo numero è l’auto-presentazione del
suo libro Eco, Narciso e le figure della dipendenza amorosa (Alpes, Roma
2022) del nostro collega Massimo Borgioni. Il volume nasce come
approfondimento delle riflessioni e del materiale raccolto in conferenze e
seminari seguiti a una precedente pubblicazione, Dipendenza e Controdipendenza
affettiva (Alpes 2015), che pure ci piace ricordare per i suoi
meriti di chiarezza. Appare ben scelto il ricorso alle figure mitologiche di
Eco e Narciso per illustrare la dialettica insita in ogni rapporto amoroso. A
modo loro, entrambi vorrebbero negare questa dialettica, Eco trasformando
il Due nell’Uno, Narciso trasformando l’Uno nel Due. Ma “L’amore nasce
sempre dall’incontro con l’altro, l’amore nasce sempre dalla dualità”.
In conclusione e last but not least, riportiamo una bella notizia
societaria: in occasione dei 25 anni dal riconoscimento della Siab come
Scuola di specializzazione post-laurea in psicoterapia, da parte del
Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, e dal
passaggio della guida della Siab dalla generazione delle fondatrici e dei
fondatori alla seconda generazione di analisti bioenergetici italiani formati
dalla nostra società, fondata nel 1978 dallo stesso Alexander Lowen, la
Presidente e il Direttivo, di comune afflato, desiderano ricordare le
conquiste di questi anni nell’auspicio di un futuro altrettanto se non più
fecondo per le future generazioni.
Christoph Helferich

22 Mar

Poesia del cuore, prosa delle circostanze.

Poesia del cuore, prosa delle circostanze

Le mie considerazioni nascono dalla mia esperienza recente di psicoterapeuta. Un mio paziente intorno ai quarant’anni, sposato e con una figlia che frequenta la scuola elementare, si era innamorato di una ragazza di diciannove anni, conosciuta sul luogo di lavoro. Ciò che più mi colpiva in questa profonda crisi personale del paziente, di temporaneo scombussolamento della sua consueta identità, era la tenacia con cui voleva far proseguire questa storia. Nonostante l’ovvia impossibilità di sostenerla, di cui era ben consapevole, si rifiutava o meglio era incapace di chiuderla. Evidentemente questa relazione, peraltro senza agiti sessuali, gli regalava dei vissuti troppo preziosi per rinunciarvi definitivamente. Infatti descriveva il suo stato d’animo in questo periodo come “infinita leggerezza”, “apertura”, “serenità”, e soprattutto come sentita presenza del suo cuore amorevole. Provava insomma un senso dell’esistenza fortemente intensificato e ringiovanito, quello stesso senso d’esistenza espressa magistralmente da una poesia del giovane Goethe dal titolo Neue Liebe, neues Leben, “Amore nuovo, vita nuova”.

Questo scenario ricorda vivamente il periodo del Romanticismo europeo e soprattutto tedesco. Perché è in quell’epoca, circa duecento anni fa, che l’individuo e il suo sentire assume un’importanza assolutamente nuova. In quanto dotato di “interiorità” e “profondità” dell’anima, per il Romanticismo ogni individuo nel suo sentire è singolare, diverso e originale, e dovrebbe perciò vivere all’altezza della propria originalità. Non sorprende perciò che nella visione romantica i valori centrali della persona siano il cuore e l’amore. In questo senso, come scrive il poeta Novalis (1772 – 1801), il cuore è “chiave del mondo e della vita”; il filosofo Hegel (1770 – 1829) chiama conformemente l’amore romantico una “religione mondana del cuore”.

Ma è fin troppo evidente che questo esaltato individualismo, sentimentalismo e idealismo dei romantici doveva per forza scontrarsi con le condizioni elementari del mondo sociale. Pensiamo in primo luogo agli ostacoli posti dalle relazioni familiari in cui vivono i protagonisti, e naturalmente alle esigenze economiche in una società di mercato. Come in uno specchio, i numerosi romanzi dell’epoca testimoniano fedelmente questo conflitto tra gli ideali e i desideri dei protagonisti e i limiti reali del mondo di cui comunque fanno parte. Nella sua Estetica Hegel, il più profondo critico del Romanticismo, ha felicemente definito questa dicotomia come conflitto tra la poesia del cuore e la prosa delle circostanze. E, come dimostra l’esempio del più famoso di questi romanzi, I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe, è possibile che questo conflitto possa risolversi solo tragicamente.

Se siamo passati da un caso clinico attuale al Romanticismo a cavallo tra settecento e ottocento, è per due ordini di ragioni: primo, perché in quel periodo emerge in maniera esemplare e acuita il conflitto strutturale tra individuo moderno e società: ed è davvero sorprendente la chiarezza dei termini in cui, nell’arte e nel pensiero romantico, questo conflitto viene percepito ed espresso.

Il secondo motivo è invece l’intimo legame che ci connette, in quanto psicoterapeuti, col mondo romantico. Infatti, come ho sviluppato in un mio saggio di alcuni anni fa, la psicoterapia è in verità l’erede fedele del Romanticismo.1 Ciò si evidenzia già nell’enorme attenzione con cui ogni singolo paziente e i suoi vissuti vengono accolti in ogni seduta: il regno della psicoterapia è il regno dei sentimenti. E in analisi bioenergetica, l’esperienza corporea come elemento integrale del processo terapeutico tende a intensificare ulteriormente questa dimensione sentimentale-espressiva, spesso rimossa dalla vita del paziente.

Non sorprende perciò che il conflitto tra il singolo e il suo ambiente, tra la “poesia del cuore” e la “prosa delle circostanze” si ripropone puntualmente nel corso di ogni terapia. E forse si ripropone con particolare intensità in tre ambiti cruciali dello sviluppo: nei vissuti complessi dell’adolescenza, nel plasmarsi dell’identità adulta con l’ingresso nel mondo del lavoro, nonché nella midlife crisis, la spesso dolorosa messa in discussione di tutto ciò che l’individuo era finora riuscito a costruirsi.

Vogliamo con queste osservazioni rassegnarci a una depessiva lacerazione esistenziale, alla perdurante conflittualità o meglio contraddittorietà della vita? Certamente no. In quanto new beginning (M. Balint), la psicoterapia cerca di espandere le capacità del paziente di percepire e gestire se stesso, il proprio corpo e l’ambiente con cui vive; mira a creare un nuovo e più appagante equilibrio tra sé e il mondo. Credo che con questa finalità la psicoterapia si avvicini molto a un concetto caro a Hegel, Versöhnung, la riconciliazione dell’individuo con le condizioni della sua esistenza. Questa riconciliazione sarebbe da intendere come accettazione consapevole e benigna della vita e del mondo della vita, des Lebens und der Lebenswelt.

Christoph Helferich

1“L’eredità romantica nell’analisi bioenergetica”. In: Christoph Helferich, Il corpo vissuto. La cura di sé nell’analisi bioenergetica. Alpes Italia, Roma 2018, 101 – 136.

10 Gen

Sileno con Dionisio Infante

Sileno con Dionisio Infante

di Christoph Helferich

Quando ho visto, sul blog della Siab, il Sileno con Dionisio Infante, sono subito rimasto colpito da questa raffigurazione. Forse è stato l’accostamento particolare a favorire questo impatto, dato che l’immagine serviva come richiamo visivo o eye-catcher a un testo dal titolo Uomini che parlano d’amore. Ma sicuramente è stata la situazione in sé a provocare la mia reazione: mai avevo visto una simile statua antica, raffigurante una relazione di amorevole vicinanza tra un uomo adulto e un bambino piccolo, una relazione di piacere reciproco dell’essere insieme. E se si richiama alla memoria la galleria delle statue che popolano il panteon del mondo antico, un mondo prevalentemente di eroi, guerrieri e imperatori, facilmente si può intuire la singolarità di questo gruppo.

Sileno con Dionisio Infante, esposto nel Braccio Nuovo dei Musei Vaticani, è una copia romana trovato in Olimpia da un originale bronzeo. Secondo il mito greco, Dionisio (letteralmente Figlio di Zeus) nacque dall’unione di Zeus con la bella Semele, figlia di Kadmos, il fondatore di Tebe. Semele, caduta in un tranello di Era, la gelosa moglie di Zeus, fu punita da Zeus e morì folgorata. Ma Zeus salvò il frutto della loro unione affidando il piccolo Dionisio alle cure del satiro Sileno, che lo fece allattare da una Ninfa e divenne poi il custode e maestro di vita di Dionisio.

Per una serie di indicatori, l’originale bronzeo della statua viene oggi con ogni probabilità attribuito a Lisippo di Sicione (ca. 390 – dopo 306 a. C.), insieme a Prassitele e Skopas l’ultimo dei grandi scultori del IV° secolo. Tra questi maestri, Lisippo si distingue come audace innovatore; era famoso per la perfetta cura di ogni dettaglio nella resa dei particolari somatici e in generale era portato all’approfondimento psicologico delle sue figure.

Notiamo, infatti, nel nostro gruppo che il bambino è tenuto dalle braccia e mani forti dell’uomo parecchio in alto, vicino al suo volto. L’uomo lo guarda con attenzione amorevole. La gamba e il braccio sinistro del bambino rispondono con un ulteriore inclinarsi verso il corpo dell’uomo, creando l’atmosfera di un ludico abbandono. Infatti, possiamo notare, con le parole di un critico d’arte, che “i due si fondono in un’unità creata dalle linee incrociate degli sguardi e dalla posizione del bambino che forma una linea trasversale sul torso del vecchio. Il punto focale nel Sileno è la ricerca dell’intima unione tra i due personaggi”.1

A ciò corrisponde un altro elemento sottolineato dalla critica: la progressiva umanizzazione della figura del Sileno. Originariamente, nella mitologia e iconografia greca i Sileni appaiono come esseri semi-animaleschi, come creazione mista tra uomo e cavallo, simile ai Centauri. Anche se complessivamente sono di forma umana, hanno conservato dai caratteri somatici del cavallo le orecchie appuntite, una piccola coda, un corpo completamente coperto di peli e spesso anche i zoccoli. Di tutto ciò è rimasto nel nostro Sileno solo l’orecchio leggermente appuntito e una certa sporgenza della fronte inferiore.

Considerando questo sviluppo dell’immaginario e dell’iconografia all’interno della cultura greca, possiamo forse arrivare a un’interpretazione più ampia. In qualche modo, il Sileno umanizzato della nostra statua sembra rispecchiare un passo decisivo della nostra stessa storia, il passaggio dall’animale quadrupede, tanto presente ancora nei Centauri, al futuro uomo bipede. Il bipedismo, infatti, rappresenta il primordiale presupposto della futura evoluzione umana, base sia dello sviluppo del pensiero che della nostra capacità relazionale, la capacità di amare.2 Mi piace vedere la statua di Sileno con Dionisio Infante come espressione di questa nostra capacità specificamente umana. E mi piace pensare che la nostra storia avrebbe potuto prendere una piega diversa se avessimo avuto, nella vita come nell’arte, più esempi di questo amore tra uomo e bambino.

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1Alessia Terribili (2003). Il gruppo di Sileno con Dionisio infante al Vaticano. In: Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité, tome 115, n° 2., 881-897.

2Christoph Helferich (2018). Il bipede fragile. Posizione eretta e grounding. In: Il corpo vissuto. La cura di sé nell’analisi bioenergetica. Roma: Alpes, 69-82.

30 Set

Thomas Fuchs: La mente incarnata. Invito alla lettura

THOMAS FUCHS: LA MENTE INCARNATA

Invito alla lettura

Thomas Fuchs, nato nel 1958, è filosofo e psichiatra clinico; è titolare della prestigiosa cattedra Karl Jaspers dell’Università di Heidelberg, dove insegna Istituzioni filosofiche della psichiatria e psicoterapia. Ha inoltre coordinato importanti progetti europei di ricerca, ed è dal 2013 Presidente della Società Tedesca di Antropologia, Psichiatria e Psicoterapia fenomenologica.

Per rendere con poche parole il nucleo del suo pensiero, conviene partire da un’affermazione dello stesso Karl Jaspers, secondo cui “in fin dei conti, l’immagine dell’uomo che riteniamo quella giusta, è decisiva per il rapporto che abbiamo con noi, con gli altri e con la natura”.

In questo senso, Fuchs ha a cuore un immagine o una visione umanista dell’uomo. Al centro di questo umanesimo sta la persona umana, “esseri incarnati e animati”, dotati di libero arbitrio e costitutivamente sociali, in connessione con gli altri.

Fuchs distingue questo tipo di umanesimo nettamente e polemicamente dall’immagine scientista dell’uomo, diffusissima nel nostro mondo accademico. Lo scientismo si definisce soprattutto per una concezione naturalista e coerentemente causale del mondo, in cui l’uomo in fin dei conti appare come “somma dei suoi dati”, e in cui non c’è spazio per un ruolo costitutivo della nostra soggettività.

Il campo di battaglia tra queste due concezioni è la teoria della mente, e più concretamente del cervello. Secondo una lunga tradizione filosofica e scientifica, il nostro cervello è un organo più o meno a sé stante che produce una rappresentazione interna del mondo. Le attuali neuroscienze e la neurobiologia riprendono e riformulano questa antica idea della rappresentazione interna di un mondo esterno, e intendono gli organismi viventi come macchine biologiche guidati secondo gli algoritmi dell’informatica neuronale.

A questo concetto della mente basato sull’idea della rappresentazione, Fuchs contrappone, in sintonia con una forte corrente alternativa al pensiero dominante, il paradigma della mente incarnata. “Mente incarnata” (embodied mind) significa una teoria del cervello come essenzialmente inserito nel e in funzione del processo vitale di un organismo, in continua relazione dinamica col mondo. In quest’ottica cosiddetta enactive, “enattiva”, Fuchs comprende perciò il cervello come “organo di mediazione” (Beziehungsorgan). Organo di una mediazione circolare tra le varie parti e funzioni del singolo organismo stesso, nonché tra la vita dell’organismo con il mondo fisico e sociale circostante. Una conseguenza importante di questa concezione è la tesi che il nostro Io non è localizzato nel cervello, ma in tutto il corpo.

In questo senso Fuchs arriva ad abbozzare un’antropologia corporea, che nella sua recente raccolta di saggi, Difesa dell’uomo, riassume con le seguenti parole: “Il vero progetto alternativo ad un’immagine naturalista e riduttiva dell’uomo consiste nella sua corporeità e vitalità, costitutiva della persona. Le idee-guida di una visione umanista dell’uomo non sono l’interiorità astratta, una coscienza senza corpo o uno spirito puro, bensì la sua concreta esistenza corporea”.

Mi sembra evidente che il paradigma della mente incarnata sia basilare per la nostra attività come psicoterapeuti. Fuchs sviluppa il suo pensiero nel libro Ecologia del cervello. Fenomenologia e biologia della mente incarnata, recentemente tradotto anche in italiano (casa editrice Astrolabio, Roma 2021). Rimando anche al mio saggio You are Your Body (in via di pubblicazione nella nostra rivista Corpo & identità), in cui utilizzo il pensiero fenomenologico di Fuchs per interpretare la famosa affermazione di Alexander Lowen nel suo libro Bioenergetica, appunto, che “Siamo il nostro corpo”.

Su YouTube si trovano inoltre numerosi video con Thomas Fuchs, tra i quali mi sembra particolarmente adatta, come introduzione al suo pensiero, un’intervista dal titolo The Embodied Mind.

Christoph Helferich

20 Mag

Le Tre Pietà di Michelangelo

Le Tre Pietà di Michelangelo

È in corso a Firenze la mostra Le Tre Pietà di Michelangelo, allestita al Museo Opera del Duomo di Firenze in occasione del restauro della Pietà Bandini e aperta in concomitanza col Convegno dei Vescovi e dei Sindaci del Mediterraneo nel febbraio di quest’anno 2022. La mostra presenta la Pietà Bandini, la scultura fiorentina recentemente restaurata, insieme a due calchi classici della Pietà vaticana e della Pietà Rondanini di Milano, e offre un’occasione straordinaria, unica, di poter ammirare insieme le tre versioni della Pietà create da Michelangelo nel corso della sua lunga vita, dalla splendida opera giovanile fino ai due progetti incompiuti dell’artista ormai anziano, realizzate già al cospetto della morte. Il dialogo tra queste tre sculture nello stesso spazio rappresenta uno dei momenti più alti della spiritualità cristiana in campo artistico, paragonabile per lo spettatore forse solo all’evento Mysterium Crucis, l’ostensione contigua dei tre crocifissi lignei di Donatello, Brunelleschi e Michelangelo nel Battistero di San Giovanni nel novembre 2012.

La Pietà della Basilica di San Pietro, realizzata dall’artista ventitreenne nel 1498-1499, a ridosso del Giubileo del 1500, è – conformemente alle istruzioni del committente – orientata al modello nordico del Vesperbild, l’icona della Madonna seduta con in grembo il figlio morto dopo la deposizione. L’immagine di questa scena – una scena che sembra rappresentare il dolore materno archetipico – si era diffuso, con funzione devozionale, nel corso del Trecento in area germanica. Michelangelo invece “reinterpreta il tema di origine nordica in chiave antichizzante, in cui la scelta del materiale [il marmo di Carrara, nda] e le misure sono già in sé un segnale di una scelta classica ed eroica con una netta prevalenza delle forme”.1 Il pathos della scena favorisce l’identificazione spontanea dello spettatore con il destino umano del Cristo, in linea con il lungo processo di trasformazione della spiritualità cristiana nel corso del Medioevo. In questo processo, l’immagine del bizantino celeste imperatore Cristo Triumfator, Victor Rex, viene via via umanizzata attraverso la partecipazione individuale dei fedeli al dolore della sua passione, diventa modello di vita interiorizzato nella imitatio Cristi o anche, in termini greci, la Cristomimesi. Non a caso il libro De Imitatione Christi, attribuito a Tommaso da Kempis, rappresenta per secoli uno dei testi più letti dal tardo Medioevo in poi, ponte importante verso l’introspezione personale tipica del soggetto moderno.2

Con la Pietà vaticana, Michelangelo destò giustamente lo stupore del suo tempo, e infatti è l’unica suo opera che ha voluto firmare col suo nome “come di cosa nella quale è soddisfatto e compiaciuto s’era per se medesimo”, come nota Giorgio Vasari nelle sue Vite. E ancora Vasari: “È un miracolo che un sasso, da principio senza forma alcuna, si sia mai ridotto a quella perfezione che la natura a fatica suol formare nella carne”.

Tutt’altra atmosfera invece emana dalla Pietà fiorentina, la cosiddetta Pietà Bandini (1547-1555). La statua è composta da quattro figure – Maria madre di Gesù, Maria Maddalena, Nicodemo e Gesù – con il corpo del Cristo ora verticalmente esposto allo spettatore. Questa scultura fu pensata da un Michelangelo già ultra-settantenne come monumento funebre per la propria cappella mortuaria, e significativamente Nicodemo, il personaggio centrale dietro a Cristo, ha con tutta evidenza i tratti fisiognomici dell’artista.

Con questa particolare gestualità e con questa particolare composizione dei personaggi Michelangelo com’è stato giustamente osservato, “mette se stesso al posto prima riservato a Maria; sua è la sagoma che definisce la composizione del gruppo, e suo è il volto che sovrasta quelli del Figlio e della madre”.3 È una scelta sicuramente inaudita, com’è del resto è inaudito e insolito per l’epoca che uno scultore eriga una scultura a se stesso e alla propria memoria.

Un ulteriore elemento originale riguarda la stessa attività di scultura e in particolare la sua “conclusione”. Incaricato nel 1547 dal Papa Paolo III di dirigere il cantiere della Basilica di San Pietro, Michelangelo aveva poco tempo a disposizione e spesso lavorava alla sua scultura di notte, a lume di lanterna. Vasari, che gli fece una visita notturna al suo studio, menzionò anche la particolare durezza del marmo, notando dei spavilli prodotti dai colpi di scalpello. Alla fine, dopo 8 anni, “o a causa del marmo difettoso o per l’insoddisfazione per quanto aveva realizzato” (T. Verdon), Michelangelo perse la pazienza e mutilò a colpi di martello la propria statua ancora incompiuta. È a un suo collaboratore che dobbiamo la difficile riparazione del gruppo che poi venne regalato al collezionista romano Francesco Bandini.

Probabilmente però quel gesto di mutilazione – o automutilazione – ha delle ragioni più profonde di quelle suggerite, le difficoltà del marmo o l’insoddisfazione per la realizzazione artistica. Possiamo infatti ipotizzare che Michelangelo non fosse più convinto del progetto di base, dell’idea stessa della sua statua mortuaria. Lo possiamo dedurre dalla sua terza opera dedicata a questo tema, la cosiddetta Pietà Rondanini, oggi al Castello Sforzesco di Milano. Michelangelo aveva avviato questo progetto intorno al 1552-1553, mentre ancora lavorava alla Pietà precedente prima di abbandonarla incompiuta, e si è poi occupato della Pietà Rondanini quasi fino al giorno della sua morte, il 18 febbraio 1564.

Come descrive lapidariamente l’inventario redatto dopo la morte, si tratta di “una statua principiata per un Cristo e un’altra figura sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite”. Infatti, colpisce l’aspetto fantasmatico, quasi spettrale delle due figure attaccate insieme come in una simbiosi tra chi regge e chi sta per cadere in avanti, “il corpo di Cristo attaccato a Maria come per annullarsi in lei, come per rientrare nel grembo materno”4. E colpisce soprattutto il fatto che la figura di Maria riprenda quella centralità che il monumento fiorentino aveva riservato al proprio autoritratto dell’artista.

Evidentemente, l’anziano Michelangelo, nelle sue profonde meditazioni sulla morte di Cristo e sulla propria morte, ha fatto un passo indietro rispetto alla configurazione e all’idea della seconda statua. L’artista ha compiuto “un processo di alienazione delle proprie vanità e ambizioni”, di “spoliazione dell’io per appartenere all’Altro”5. E, infatti, con la sua terza e ultima Pietà, Michelangelo torna al rapporto esclusivo Madre-Figlio, rappresentato già in maniera così esemplare nell’opera giovanile, un rapporto in cui noi psicoterapeuti riconosciamo quel primo amore che conferisce e determina il senso della vita.

Ma sono proprio i termini primo amore e rapporto esclusivo che ci riportano al profondo dolore, alla profonda ferita psichica che soggiace a queste splendidi opere. Perché Michelangelo, come del resto anche Leonardo da Vinci e lo stesso fondatore della psicoanalisi, ha vissuto nella sua infanzia il dramma delle due madri. È cresciuto sospeso tra il legame con la “vera madre” a Firenze, blood parent, e il legame con la sua balia a Settignano, milk parent, alla quale fu dato secondo le usanze del tempo quando aveva un solo mese di vita.

Non possiamo soffermarci qui sui traumi della separazione, le ferite narcisistiche e la strutturale ambivalenza affettiva che l’esistenza di due madri comporta, e che fecero piangere Sigmund Freud herzzerreißend, “in maniera straziante”, quando attraverso la sua auto-analisi si ricordò, all’età di quarant’anni, della sua balia dimenticata.6 Resta il fatto che questa dimensione interiore di separazione ci fa ammirare ancora di più lo sforzo di questo genio volto a creare, in forma di sculture perfette, i simboli di una riconciliazione con il mondo delle madri.

* * *

La mostra, in esibizione a Firenze fino al 1° agosto, sarà poi ospitata anche a Roma (in data e luogo ancora da confermare) e dal mese di ottobre a Milano al Palazzo Reale.

Christoph Helferich

1Claudio Salsi e Giovanna Mori: “Tre Pietà di Michelangelo a Firenze, a Milano e a Roma: la Rondanini del Castello Sforzesco”. In: Le Tre Pietà di Michelangelo. Non vi si pensa quanto sangue costa. A cura di Barbara Jatta, Sergio Risaliti, Claudio Salsi e Timothy Verdon, Cinisello Balsamo (Milano): Silvana Editoriale 2022, 35-39, qui a p. 35 (catalogo della mostra). Vedi anche il catalogo della mostra Vesperbild. Alle origini delle Pietà di Michelangelo. A cura di Antonio Mazzotta e Claudio Salsi, Milano: Officina Libraria 2018.

2 Cfr. Christoph Helferich: “L’eredità romantica nell’analisi bioenergetica”. In: Il corpo vissuto. La cura del sé nell’analisi bioenergetica. Roma: Alpes Italia 2018, 101-136.

3 Timothy Verdon: “Non vi si pensa quanto sangue costa. Le Tre Pietà e la concezione religiosa di Michelangelo”. In: Le Tre Pietà di Michelangelo (vedi n.1), 25-33, qui a p. 30.

4Antonio Paolucci, cit. in Rita Filardi: “Sguardi novecenteschi sulle tre Pietà di Michelangelo”. In: Le Tre Pietà di Michelangelo (vedi n.1), 105-110.

5Sergio Risaliti: “Rileggendo la Pietà Rondanini”. In: Le Tre Pietà di Michelangelo (vedi n.1), 75-83.

6Herta E. Harsch: “Freuds Identifizierung mit Männern, die zwei Mütter hatten” [“L’identificazione di Freud con uomini che avevano due madri”]. In: Psyche. Zeitschrift für Psychoanalyse und ihre Anwendungen. 48ª annata, febbraio 1991, 124-153.

 

30 Apr

Analisi bioenergetica: origini, teoria, metodo

Origini

Le origini dell’analisi bioenergetica risalgono alla visione psicodinamica della persona come ideata nella teoria e prassi della psicoanalisi freudiana. Wilhelm Reich, uno dei più brillanti seguaci di Freud, ha esteso questo modello, prendendo in esame anche le difese corporee dei pazienti (come per esempio l’armatura muscolare, l’espressione posturale, il controllo inconscio del respiro). Affrontando tali difese in modo diretto, Reich ha cominciato a includere il corpo dei pazienti nel processo terapeutico, creando, negli anni trenta del secolo scorso, il setting allargato della psicoterapia a mediazione corporea.

Nella decade seguente, il medico americano Alexander Lowen – paziente e allievo, per alcuni anni, di Wilhelm Reich – ha introdotto significative innovazioni teoriche e pratiche all’originario approccio reichiano e ha elaborato, nei primi anni Cinquanta, il suo personale concetto di psicoterapia corporea denominato analisi bioenergetica. Nel 1956 Lowen fondò a New York l’International Institute for Bioenergetic Analysis, e nella seconda parte del secolo scorso l’analisi bioenergetica si è diffusa in molte parti del mondo.

 

Teoria

L’assunto teorico che soggiace all’analisi bioenergetica è espresso in maniera concisa in una proposizione assiomatica di Alexander Lowen: “You Are Your Body”, “ogni persona è il proprio corpo”.[1] L’idea è che la nostra realtà corporea, il corpo nelle sue molteplici espressioni (l’età, il genere, i ritmi e bisogni fisiologici…) rappresenta la base del nostro essere-al-mondo. Questa visione include la dimensione emozionale, relazionale e linguistico-cognitiva di ciascuno, poiché in questa dimensione sono incorporate la biografia personale e la coscienza di sé.

Un altro modo di concepire questo complesso rapporto tra la persona e il corpo è la teoria di Wilhelm Reich dell’identità funzionale tra corpo e mente, che ha influenzato tutte le forme di psicoterapia corporea. In ultima analisi, questa identità funzionale è radicata nei processi energetici del corpo, della vita stessa. È per questo motivo che Alexander Lowen ha chiamato il proprio approccio analisi bioenergetica, “lo studio della personalità umana dal punto di vista dei processi energetici del corpo”.[2]

Il termine “energetico”, inteso come pulsazione, armatura, ritmo del respiro, consente una comprensione profonda della persona umana. Nell’analisi bioenergetica sono fenomenologicamente legati a un altro assunto concettuale, quello della teoria della struttura caratteriale. Si tratta di strutture (o tratti) caratteriali (come per esempio la personalità schizoide, orale o rigida) che si riferiscono alle principali ferite o ai traumi subiti da un bambino nei primi mesi o anni del suo sviluppo; tali ferite sono tracciate sia nelle manifestazioni corporee di una persona che nella sua tipica Weltanschauung, le credenze di base e le attitudini verso gli altri e il mondo. Poiché la struttura caratteriale è profondamente radicata nelle disfunzioni relazionali verificatesi durante la prima infanzia, il processo di cura richiede un’esperienza correttiva ben fondata per tutto il corso della relazione terapeutica.

Un terzo assunto teorico, probabilmente dovuto allo Zeitgeist, lo spirito del tempo della Psicologia Umanistica quando l’analisi bioenergetica è nata, è una fiducia nel potenziale della persona, nella spinta verso l’auto-realizzazione e la ricerca del piacere nel contesto di una “vita buona”.

In analisi bioenergetica, comunque, tutto ciò è connesso con una consapevolezza vitale del proprio corpo vissuto, con un senso di sicurezza e possesso di sé radicato nel processo del grounding. Perciò, Alexander Lowen poteva dire: “Più il vostro corpo è vivo, più siete nel mondo”.[3]

 

Metodo

L’analisi bioenergetica si definisce come psicoterapia somatico-relazionale. La metodologia di base del processo terapeutico richiede perciò l’attenzione costante a entrambi gli aspetti dell’identità del paziente: il modo in cui vive il proprio corpo e il modo in cui si relaziona all’analista in quanto persona concreta e generalized other. Questa esplorazione si svolge all’interno di una cornice terapeutica estesa che permette, oltre allo scambio verbale tra paziente e analista, anche l’esperienza della vita corporea del paziente.

Una seduta bioenergetica tipica inizia perciò normalmente con uno scambio verbale tra paziente e terapeuta, solitamente con entrambi i protagonisti seduti uno di fronte all’altro; scambio durante il quale il paziente può parlare di tutti gli aspetti rilevanti della sua vita, inclusi i suoi sogni. In un secondo momento, poi, paziente e analista passano alla cosiddetta fase esperienziale della seduta, nella quale si svolge l’esperienza concreta del corpo ovvero il “lavoro corporeo”. Questa fase può partire da qualche elemento emerso durante il colloquio, o può iniziare lì per lì, per esempio con la percezione vissuta del proprio corpo da parte del paziente. In generale, questa parte della seduta si distingue per un’enorme gamma di possibilità che include il lavoro con la voce, gli occhi, il movimento, il contatto, il respiro, la costruzione di confini, ecc.

Sin dall’inizio, l’analisi bioenergetica ha sviluppato una grande varietà di esercizi atti a facilitare l’esperienza somatico-relazionale. È ovvio che questi esercizi non vengono mai utilizzati meccanicamente, bensì in sintonia con la personalità del paziente, l’atmosfera specifica e il contesto relazionale del momento. Attenzione particolare è dedicata al grounding del paziente, ossia al suo radicamento o rapporto sicuro con la terra su cui stiamo con le nostre gambe, e, in senso più ampio, con il mondo che ci circonda e in cui ci muoviamo. Inoltre, attenzione particolare è dedicata al contatto diretto col corpo del paziente, strumento terapeutico tanto importante quanto delicato.

Durante o – solitamente – verso la fine dell’incontro, tutte queste esperienze somatico-relazionali vanno accuratamente condivise verbalmente ed elaborate, in modo da permettere al paziente l’integrazione cosciente della sua esperienza vissuta nell’arco della seduta.

In finis

Per gestire questo setting terapeutico altamente complesso, gli allievi in training devono raggiungere un considerevole livello di consapevolezza, flessibilità e responsiveness verso la personalità del paziente.

In particolare, devono acquisire la capacità di:

  • assumere un atteggiamento empatico per accogliere il paziente con cuore aperto e per costruire una solida alleanza terapeutica;
  • combinare interventi e reazioni corporei ed emozionali nel contesto della presa di consapevolezza;
  • fare attenzione agli accenni nascosti nella comunicazione corporea e verbale;
  • usare liberamente le tecniche e gli strumenti del lavoro corporeo, incluso il contatto con il corpo del paziente;
  • sviluppare un buon senso di tempismo e delle proporzioni tra le varie parti della seduta;
  • mantenere confini chiari, per creare un senso di sicurezza per entrambi, paziente e analista;
  • essere costantemente consapevoli della propria storia biografica, della loro attuale disposizione personale, del modo in cui sperimentano soggettivamente il paziente e delle potenziali implicazioni controtransferali che tutti questi fattori potrebbero creare.

In sintesi, la formazione in analisi bioenergetica, oltre a tutto l’insegnamento teorico compreso nel training, è basata su un metodo esperienziale, suddiviso in due fasi. Durante i primi due anni, l’attenzione di base è rivolta alla conoscenza dell’allievo della propria personalità in senso largo, alle dinamiche corporee e psichiche profonde che porterà nella situazione terapeutica. Nel terzo e quarto anno, la seconda parte della formazione, gli allievi si esercitano nel ruolo del terapeuta in relazione con un paziente, per lo più attraverso il role-playing simulato. In tutta questa fase, il feedback costante da parte dei loro compagni, nonché la continua supervisione dei loro didatti, sono essenziali per sviluppare le abilità, la consapevolezza e la maturità personale del futuro analista bioenergetico.

 

Note

[1]     Alexander Lowen, Bioenergetics. Coward, McCann & Geoghegan, 1975, published in Penquin Books 1976. Trad. it. di Lucia Cornalba, Bioenergetica, con supervisione scientifica di Luigi de Marchi, Milano 1983, p. 44.

[2]     Ibid., p. 37.

[3]     Ibid., p. 45.

03 Feb

In memoriam Gernot Böhme

In Memoriam Gernot Böhme

(1937-2022)

È con grande dolore che dobbiamo annunciare la morte improvvisa di Gernot Böhme, giovedì 20 gennaio, pochi giorni dopo il suo 85° compleanno. Nato nel 1937 a Dessau in Sassonia, è stato uno dei più importanti filosofi del nostro tempo. Per molti anni, dal 1977 al 2002, è stato Professore di Filosofia alla Technische Universität di Darmstadt, nonché Visiting Professor in numerose Università in tutto il mondo. Viveva e lavorava a Darmstadt, dove nel 2005 ha fondato l’Institut für Praxis der Philosophie, di cui era Direttore.

La denominazione di Istituto per la Prassi della Filosofia è significativa e caratterizza bene la personalità e il pensiero di Gernot Böhme, poiché esprime i due filoni portanti del suo profilo intellettuale.

Da un lato, l’ampia gamma della sua attività teorica, che si estende dalla filosofia classica (in particolare Platone e Kant) all’antropologia, dalla filosofia della tecnica e della scienza all’etica, dalla filosofia della natura all’estetica, alla quale si dedicava in quest’ultimo periodo con particolare sensibilità.

D’altra parte, il pensiero di Böhme si distingue da sempre per la sua incidenza pratica, per il significato concreto della filosofia come forma di vita; la riflessione filosofica dunque come aiuto a vivere la vita individuale e collettiva in modo umano. In questo senso, il suo pensiero ha un carattere notevolmente pragmatico, volto alla questione di come devo, come dobbiamo vivere per Essere bene uomo, come suona il titolo di un suo libro.

Il fecondo intreccio tra riflessione teorica e intento pratico di cui abbiamo parlato si rispecchia bene nel titolo del suo famoso libro del 2003, Leibsein als Aufgabe, “Il compito di essere corpo”. Böhme parla di un “compito”, perché nelle condizioni del nostro mondo tecnico-scientifico, l’essere corpo è tutt’altro che scontato. Anzi, l’esperienza della nostra corporeità, della “natura che siamo” come Böhme la definisce, richiede uno sforzo notevole di consapevolezza, di attenzione e di presenza a se stessi per essere vissuta nel modo migliore.

A questo punto si intuisce subito l’intima vicinanza tra il pensiero di Böhme e l’analisi bioenergetica, ovvero la psicoterapia corporea in generale. In quanto fenomenologo e anzi rappresentante di spicco della cosiddetta Nuova Fenomenologia, la riflessione sul corpo assume un ruolo centrale nel suo pensiero. Inoltre, Böhme è forse l’unico filosofo che indaga sulla nostra concreta esperienza corporea, sottolineando con insistenza la necessità di pratiche ed esercizi per creare una familiarità vissuta con il proprio corpo, col proprio esserci nel mondo. In questo senso, il suo pensiero rappresenta una forma di intelaiatura generale o base filosofica del nostro agire come psicoterapeuti bioenergetici, sempre attenti alla mediazione corporea della nostra esistenza.

Purtroppo, dalla vasta produzione scientifica di Gernot Böhme pochi testi sono stati tradotti in lingua italiana.

L’unico libro interamente tradotto nella nostra lingua raccoglie una serie di lezioni dedicate alla dimensione estetica nel senso ampio e originario come scienza della percezione umana (Atmosfere, estasi, messe in scena. L’estetica come teoria generale della percezione, trad. a cura di Tonino Griffero, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2010).

La Società Italiana di Analisi Bioenergetica in questi ultimi anni ha contribuito significativamente alla conoscenza del suo pensiero in Italia. Citiamo di seguito le importanti pubblicazioni leggibili in italiano.

Sul primo numero della rivista Grounding abbiamo pubblicato un brano dal libro citato Leibsein als Aufgabe, Il compito di essere corpo, relativo alla coscienza corporea e gli esercizi respiratori che favoriscono la “discesa dell’Io nel corpo” (“La natura che siamo”: la filosofia del corpo. In: Grounding. La rivista italiana di analisi bioenergetica. n°1, 2006, 111-122).

Nel 2016 Böhme è stato invitato a tenere la relazione di apertura al Convegno della FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia) a Ischia, Amore e Psiche. La relazione s’intitola Corpo-oggetto e corpo vissuto nell’esperienza dell’amore, ed è pubblicata in Amore e Psiche. La dimensione corporea in psicoterapia, a cura di Maria Luisa Manca, Alpes Italia, Roma 2018, 9-17.

Infine, abbiamo pubblicato un breve testo sul Blog della SIAB in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale (10 ottobre 2018), dal titolo Salute e malattia, in cui Böhme sviluppa un’interessante rivisitazione dei nostri consueti concetti di “salute” e “malattia”.

Christoph Helferich

Dott. Christoph Helferich
Psicologo Psicoterapeuta
Analista bioenergetico
Supervisore e Didatta della Società Italiana di Analisi Bioenergetica (S.I.A.B.).

Studi: Via G. C. Vanini 11,
50129 Firenze.
Via A. M. Enriques Agnoletti 50, 50012 Bagno a Ripoli (Firenze Sud).

tel. 333 468 9183
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