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27 Feb

La presenza del corpo nella psicoterapia

La presenza del corpo nella psicoterapia

Il ruolo centrale del corpo per il nostro benessere generale è un principio oggi ampiamente condiviso, che sempre più si sta affermando anche nel campo della psicoterapia. Ma se questo principio è diventato quasi common ground, patrimonio comune in ambito di cura, rimane la questione di come applicarlo concretamente nella terapia. Quale posto potrebbe avere il corpo in uno spazio tradizionalmente riservato allo scambio verbale? In che cosa consiste il cosiddetto “lavoro corporeo”? Come tradurre, con altre parole, complessi problemi psichici in termini corporei?

Forse possiamo distinguere tre diverse risposte a questa domanda. La prima, e attualmente più diffusa in tutti gli approcci di psicoterapia, è l’attenzione continua, nel corso dell’incontro tra paziente e terapeuta, al vissuto corporeo di entrambi. Perché in questo incontro i corpi dei protagonisti parlano, in un fitto dialogo di gesti, sguardi, timbri della voce, ecc., l’uno all’altro, manifestando vissuti psichici spesso difficilmente afferrabili con la sola parola. Quest’attenzione continua al vissuto corporeo arricchisce e approfondisce il processo terapeutico, aggiungendo al dialogo la preziosa dimensione del non-verbale.

La seconda risposta va oltre l’attenzione continua e consiste nell’attivazione diretta del corpo nel corso di una seduta. Attraverso appositi esercizi il paziente acquista via via una maggiore consapevolezza e familiarità col proprio corpo e in particolare con il respiro, sede organismica della vita affettiva. Tali esercizi, oltre a favorire l’espressione emozionale, spesso comportano anche un effetto energetico vitalizzante, una maggiore presenza del paziente a se stesso. Gli esercizi bioenergetici aprono una porta d’accesso alla sua forza vitale, aggiungendo così un’ulteriore dimensione al processo terapeutico.

Ma esiste un’altra modalità ancora, oltre a quella dell’attenzione continua e quella dell’attivazione diretta, di includere il corpo nella terapia attraverso una sua attivazione indiretta o non-direttiva. In questa visione, si considera il corpo tout court come serbatoio, come espressione e manifestazione della storia personale del paziente, custodita nella memoria corporea. Ed è attraverso molteplici e delicate tecniche esperienziali che questo serbatoio si rende accessibile, in modo che le tematiche psichiche profonde del paziente affiorino e vengano alla luce. La tecnica di base di questo approccio al corpo è il contatto che il terapeuta dà al paziente secondo modalità definite, al fine di ottenere una attivazione organismica.

Ad esempio, in caso di avvertita rigidità negli arti inferiori – un sintomo che solitamente nasconde un vissuto di profonda paura – il terapeuta potrà dare un contatto prolungato ai vari segmenti degli arti – gambe, ginocchia, cosce, anche. Nel corso di un tale contatto, in una condizione di silenzio che agevoli un’esperienza regressiva, il paziente potrà sperimentare sia l’antica paura sottostante la sua rigidità, che la forza liberatoria di un sostegno ricevuto.

Naturalmente è impossibile e anche poco sensato voler distinguere nettamente queste tre modalità di presenza del corpo in psicoterapia; si tratta di confini fluidi che si sovrappongono. Il corpo, come è stato detto, è un “crocevia dove confluiscono occasioni” (G. Downing); terapeuta e paziente devono decidere insieme quali occasioni cogliere per la crescita di entrambi.

Christoph Helferich

Raphael Chanterou, Homme aux masques, 1930

20 Feb

Sale della terra, Luce del mondo

Domenica nove febbraio 2020 ho assistito a un’omelia su un noto brano del Sermone della Montagna (Mat.5, 13-16)*, in cui Gesù paragona i suoi discepoli al sale e alla luce: Voi siete il sale della terra, inizia la prima parte di questo breve discorso; Voi siete la luce del mondo è l’allocuzione con cui inizia la seconda parte. Parole lusinghiere, sembra a prima vista, che descrivono i discepoli e il loro compito in un’aura di somma importanza per la salvezza del mondo intero.

Ma con una mossa sorprendente, il sacerdote don Fabio Masi ha fatto apparire una funzione del tutto diversa dei discepoli. Invitando i fedeli a riflettere sull’operato del sale e della luce, sulla loro essenza, ha evidenziato come la luce di per sé non aggiunge nulla di nuovo al mondo; la luce fa semplicemente apparire meglio l’insieme delle cose che già ci sono. E il sale, nel suo esaltare il sapore di un cibo comunque già presente, addirittura sparisce del tutto. In questo modo, nell’omelia il ruolo dei discepoli e del loro Vangelo stesso viene ridimensionato e precisato, in funzione di e di fronte a un mondo avente una già presupposta dignità propria.

A questo punto, in quanto psicoterapeuta, non potevo non fare un paragone. Infatti, mi sembra che i due principi elementari del nostro lavoro, l’accettazione incondizionata del paziente così come l’ascolto empatico, rappresentino un atteggiamento paragonabile al messaggio dell’omelia. È l’atteggiamento di estrema umiltà del professionista di fronte al paziente. Per accettare l’altro per così com’è, è il terapeuta che deve spogliarsi del proprio sistema di valori; per ascoltare in maniera empatica, è il terapeuta che deve mettersi nei panni del paziente, per seguire i suoi movimenti e per stargli vicino nell’esplorazione del suo mondo interiore. E ancora: spetta al terapeuta adattare i suoi strumenti e il suo approccio specifico alle esigenze del paziente, non viceversa. Ed è proprio questo lavoro di rinuncia da parte del terapeuta a dare spazio al paziente, è il humus fertile per avviare lo sviluppo del suo potenziale, per usare una parola cara a Carl Rogers, il fondatore della psicoterapia umanistica.

Chissà perciò se anche nelle nostre sedute di psicoterapia, negli incontri settimanali a pagamento, risplende a volte un barlume di questa Luce del mondo di cui parla Gesù; chissà se anche nelle nostre sedute si può a tratti assapporare quel gusto ben condito che distingue una “vita buona”. Ma a parte di questa considerazione sulla mia professione, credo che le metafore del sale e della luce, intese nel senso di questo sermone, dovrebbero guidare la vita di chiunque lavora nel campo dell’educazione e di ogni genitore; dovrebbero guidare la vita di tutti noi.

* * * * *

*Voi siete il sale della terra; ma se il sale diventa insipido, con che cosa si dovrà dare sapore ai cibi? A null’altro sarà più buono, se non ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

Voi siete la luce del mondo; una città posta su un monte non può restare nascosta.

Nemmeno si accende una lucerna per metterla sotto il moggio; la si pone invece sul candelabro affinché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.

Risplenda così la vostra luce davanti agli uomini, affinché, vedendo le vostre buone opere, glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.

Dott. Christoph Helferich
Psicologo Psicoterapeuta
Analista bioenergetico
Supervisore e Didatta della Società Italiana di Analisi Bioenergetica (S.I.A.B.).

Studi: Via G. C. Vanini 11,
50129 Firenze.
Via A. M. Enriques Agnoletti 50, 50012 Bagno a Ripoli (Firenze Sud).

tel. 333 468 9183
christoph.helferich@gmail.com

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