25 Apr

You are your body. Considerazioni sul rapporto tra Io e corpo

You are Your Body

Considerazioni sul rapporto tra Io e corpo

di Christoph Helferich

Introduzione

Nel secondo capitolo di Bioenergetica del 1975, Alexander Lowen, partendo dalla nozione di energia, presenta i concetti-base del suo pensiero. Nel paragrafo Your are Your Body, tradotto in italiano come “Siete il vostro corpo”, scrive:

La bioenergetica si basa sulla semplice proposizione che ogni persona è il proprio corpo [Bioenergetics rest on the simple proposition that each person is his body]. Nessuno è nulla al di là del corpo vivente in cui ha la propria esistenza e attraverso il quale si esprime e si pone in relazione con il mondo che lo circonda. Sarebbe assurdo negare la verità di questa affermazione: sfido chiunque a citare una parte di se stesso che non faccia parte del suo corpo. La mente, lo spirito e l’anima sono aspetti di ogni corpo vivente. Un corpo morto non ha mente, ha perduto lo spirito ed è stato abbandonato dall’anima (Lowen, 1975, p. 44-5).

Il lettore è portato immediatamente ad acconsentire a queste affermazioni, tanto più che l’evocazione della morte non lascia dubbi sull’equazione tra persona e corpo. Tuttavia il discorso di Lowen, che non a caso esibisce una ingenuità di maniera [simple proposition], in verità rappresenta una grande sfida al senso comune. Infatti, a ben pensarci, noi tutti siamo in fondo convinti che il nostro Io, ovvero il nucleo stesso della nostra persona, sia ben più del nostro corpo, sia fatto di parole, pensieri, consapevolezza, e che questo Io risieda non già nel corpo intero, ma in qualche parte del cervello, sede della consapevolezza di sé.

L’identificazione tra “persona” e “Io consapevole” appare talmente ancorata nella coscienza comune, nel nostro quotidiano vivere, che non sarebbe esagerato riconoscerla come common ground della nostra stessa cultura. Ciò renderebbe il principio lowenian You are Your Body semplicistico e riduttivo. Per dirimere meglio la questione proviamo innanzitutto a vedere brevemente le principali ragioni che stanno alla base di questa identificazione tra persona e Io consapevole.

Io – la consapevolezza di sé

La prima e più importante ragione di tale identificazione sta nel rapporto strumentale col proprio corpo. Anche se il nostro vissuto del corpo in verità è molto complesso, si può senz’altro constatare che nella vita quotidiana il corpo è considerato essenzialmente come strumento per la realizzazione dei nostri obiettivi. Il corpo è percepito come se fosse al servizio dell’Io, di un Io timoniere che guida la sua nave secondo il proprio arbitrio. E se la nave poi è anche sufficientemente bella, ciò riesce anche a soddisfare i desideri narcisistici del timoniere.

La seconda ragione dell’identificazione tra Io consapevole e persona è che la nostra percezione del mondo e di noi stessi è mediata dal linguaggio. Il nostro corpo e i nostri sentimenti ci sono accessibili attraverso la mediazione delle parole che li nominano e ce li rendono presenti. Facile dunque identificare il nucleo del nostro essere con la funzione linguistica e in senso largo con i nostri processi mentali, base e medium della consapevolezza di sé, dell’Io.

La terza ragione riguarda la memoria, pilastro della nostra identità, anch’essa situata nel cervello. Anche la memoria è mediata linguisticamente, è racconto composto dai tanti racconti che plasmano il nostro senso di sé. Ripercorrendo il passato con la memoria narrativa, si prova solitamente un senso di continuità intima di sé attraverso il tempo, una specie di “Sé atemporale”, zeitloses Selbst, com’è stato chiamato (Radebold, 2010).

You are Your Body, dunque? Abbiamo elencato per sommi capi tre potenti ragioni per cui tendiamo a identificare il nostro Io, più che col nostro corpo, con la dimensione linguistico-mentale. È un’equiparazione immediata e spontanea, che identifica la base del nostro Io nel cervello, in particolare in quell’area in cui avviene la creazione del linguaggio.

Il corpo come minaccia

Ma esiste forse un più recondito motivo di scetticismo di fronte all’affermazione You are Your Body. Si tratta di una sorta di profonda diffidenza nei confronti del corpo. Viviamo solitamente in uno stato di guerra o comunque di continua preoccupazione e vigilanza sul corpo in quanto sede della nostra animalità, delle pulsioni, della sessualità e delle emozioni in generale. Per ricordare che siamo usciti dallo stato di natura basterebbe pensare al racconto biblico della cacciata dal paradiso terrestre. Siamo esseri culturali, e in un lungo percorso evolutivo abbiamo imparato a dominare la sfera affettivo-pulsionale legata alla nostra corporeità, che rimane comunque un terreno tendenzialmente pericoloso, ed esige vigilanza e controllo continuo da parte nostra. In questo senso, Socrate è stato indicato come modello culturale, come primo rappresentante storico di un individuo autonomo, indipendente e razionale, sulla base di un perfetto controllo della propria affettività (Böhme, 1988).

Se di solito riusciamo comunque a gestire la dimensione sessuale e affettiva della corporeità sufficientemente bene, più difficile ancora risulta accettare l’estraneità e la fragilità in essa insita. Per molti versi, il corpo appare come “altro da sé”, “estraneo”, fatto di ossa, carne, liquidi e altri elementi che seguono delle leggi e dei percorsi indipendenti dalla nostra conoscenza e volontà. Temiamo quest’alterità del corpo soprattutto per la sua fragilità. Il corpo in quanto natura è esposto, minacciato nella sua integrità da pericoli o da malattie anche gravi e comunque fuori dal nostro controllo.

Questo rapporto difficile con la nostra corporeità si aggrava ulteriormente di fronte alla finitudine, alla caducità e alla minaccia della morte. La consapevolezza della finitudine ci caratterizza come esseri umani, e proprio in quanto dotati di consapevolezza, ci differenzia dal mondo che ci circonda. È quella che il filosofo Gernot Böhme ha chiamato un Riss im Sein, una crepa nell’essere, segno distintivo dell’umano.

Il dualismo occidentale

Abbiamo dunque visto fin qui le ragioni che contrastano con l’iconica affermazione di Lowen You are Your Body. Sono le stesse ragioni che stanno alla base del dualismo occidentale, visione in cui l’essere umano appare come composto da due entità o dimensioni, l’anima e il corpo. Secondo tale visione, l’anima solitamente rappresenta la parte più preziosa, se non divina, dell’uomo.

È vero che questa visione oggi è frequentemente messa in discussione, ma è altrettanto vero che per millenni ha profondamente plasmato la cultura e il pensiero occidentale. Perciò è saldamente presente nel linguaggio e nell’immaginario collettivo, così come nella scienza teorica e applicata. Il paradigma dualistico è ancora presente, ad esempio, nelle scienze cognitive, che postulano una coscienza separata dal corpo e dal mondo esterno, o nella chirurgia dei trapianti, in cui il corpo umano è considerato un insieme di pezzi sostituibili a volontà: l’Io o l’anima è comunque altrove.

Considerate le attuali infinite potenzialità della tecnica, potremmo citare molti altri campi d’applicazione in cui il corpo appare come mera res extensa e perciò come puro oggetto della volontà umana. Ma fortunatamente esistono anche delle controtendenze, come l’ambito della medicina psicosomatica. La medicina psicosomatica si basa sulla profonda consapevolezza dell’intimo nesso tra sfera psichico-affettiva e dimensione corporeo-organica e considera l’organismo come unità dinamica delle due sfere nelle loro manifestazioni.

Insieme alla visione dualistica che contrappone Io e corpo, si può osservare una generale consapevolezza diffusa circa l’originaria identità tra corpo e persona. Come già accennato riguardo l’uso strumentale del corpo, sappiamo bene di avere un corpo, il cosiddetto corpo-oggetto. Ma a livello intuitivo-esistenziale sappiamo anche di essere il nostro corpo, il corpo vissuto in cui si esprime la propria personalità (vedi l’Introduzione in Helferich, 2018, IX-XIII). È soprattutto in situazioni estreme come dolori somatici o disturbi sessuali, che all’improvviso il nostro essere corpo si fa imperiosamente notare, mentre solitamente l’esperienza viva del proprio corpo, il corpo vissuto, rimane in retroscena. Perciò la maggior parte delle persone dimostra poca consapevolezza corporea, e la nostra cultura soffre di una generale “dimenticanza del corpo”.

La fenomenologia

Corpo-oggetto e corpo vissuto sono termini coniati e usati in ambito della fenomenologia, la scienza sistematica dell’esperienza soggettiva e delle sue principali strutture. La fenomenologia, che a lungo è stata considerata un sapere filosofico marginale all’ombra della filosofia analitica di stampo anglosassone, da alcuni decenni invece si è notevolmente affermata, contribuendo attivamente a una visione più ampia dell’essere umano. Ci riferiremo d’ora in avanti al pensiero di un rappresentante dell’attuale fenomenologia, Thomas Fuchs, filosofo, psichiatra e titolare della prestigiosa cattedra Karl Jaspers dell’Università di Heidelberg.

All’inizio del suo saggio programmatico “Il cervello, un organo di relazione” (Fuchs, 2010), Fuchs presenta tre tesi incisive: “Il mondo non è nella testa. Il soggetto non è nel cervello. Nel cervello non ci sono dei pensieri”. Con queste tre tesi, l’autore si oppone al paradigma dualistico, attivo nelle attuali neuroscienze cognitive. Come abbiamo già visto, si tratta di un paradigma in cui la coscienza viene intesa come rappresentazione interiore mentale di un mondo e di un Io costruito nel cervello. In questa visione, il corpo funge da macchina di supporto fisiologico dei processi mentali.

Il titolo del saggio di Fuchs invece indica già una diversa impostazione: il cervello è “organo di relazione” di un essere vivente in un concreto mondo circostante. Infatti, il concetto di essere vivente o organismo vivente è per Fuchs l’“entità primaria” (p. 16), il punto di partenza per comprendere il cervello e le sue funzioni come “organo di mediazione”. Questa mediazione avviene secondo l’autore in tre ambiti centrali: in primo luogo, mediazione tra cervello e corpo-organismo, che risultano collegati senza soluzione di continuità in processi circolari di rimandi neuronali, senso-motori ecc., inclusi i vissuti affettivi e cognitivi; in secondo luogo, mediazione tra l’organismo e mondo circostante, accoppiati in una relazione dinamica; infine, mediazione tra l’Io-persona e gli altri nella complessa dimensione dell’intersoggettività, modulata sin dalla primissima infanzia dall’esperienza corporea reciproca.

Tali mediazioni e connessioni circolari stanno anche al centro di importanti sviluppi nelle scienze cognitive degli ultimi decenni, confluiti nella cosiddetta embodied cognitive science. Secondo questo approccio, la soggettività o coscienza è incarnata (embodied) nell’attività senso-motoria dell’organismo, e radicata o situata (embedded) nell’interazione percettiva, senso-motoria, affettiva ecc. col mondo circostante. Fuchs fa l’esempio di una semplice azione strumentale come scrivere una lettera, azione in cui la mano, la carta, la penna e il cervello formano un’unità. È un’unità basata sull’intreccio dinamico e circolare tra cervello, corpo e ambiente; non possiamo separare i singoli elementi lungo un confine netto tra “dentro” e “fuori”, tre “Sé” e “non-Sé”: “Sarebbe altrettanto insensato come chiedersi se l’aria ispirata appartiene ancora al mondo esterno o già all’organismo” (p. 18).

Ricordiamo comunque che nella prospettiva fenomenologica è sempre il corpo vivente l’anello di congiunzione tra le varie dimensioni della nostra esistenza; il corpo è, con le famose parole di Maurice Merleau-Ponty, “il veicolo del nostro essere per il mondo”. All’interno di questa configurazione, il cervello è senz’altro l’organo centrale dei processi mentali, ovvero il luogo dei processi che sottendono la coscienza. Ma di per sé il cervello “non ha coscienza”, è “organo delle possibilità” (p. 24). Possibilità che possono realizzarsi solo nel processo di vita della persona nella sua interezza.

Fuchs chiude il suo saggio con la seguente domanda:

Se il soggetto non è nel cervello, allora dov’è? Io, il soggetto consapevole che fa esperienza e che agisce, non sono nel cervello, ma sempre esattamente là dov’è anche il mio corpo vivente con tutte le sue funzioni biologiche che rendono possibile e che producono i miei stati consapevoli e le mie azioni. Sono un essere vivente e incarnato, e ciò significa allo stesso tempo che non sono in un posto circoscritto ma sempre oltre il corpo, in relazione al mondo e agli altri” (p. 25).

Conclusione

Torniamo in conclusione alla citazione iniziale di Alexander Lowen. Se letta secondo la tradizione del dualismo occidentale, l’affermazione You are Your Body sembrerebbe ridurre la persona a una mera fisicità senza soggetto. Al contrario tale affermazione, se letta in una luce fenomenologica, appare pienamente convincente e lontana da una visione riduzionistica. Del resto, lo stesso Lowen parla poi espressamente del living body, del “corpo vivente” in cui una persona esiste e attraverso il quale si esprime e si relaziona col mondo.

Ancora più chiaramente, nel paragrafo seguente, Lowen a proposito del corpo afferma It is your way of being in the world, “è il nostro modo di essere nel mondo”. Quest’ultima affermazione riecheggia fortemente pensatori come Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty. È come se Lowen avesse qui perspicacemente colto il nucleo della riflessione fenomenologica prima e dopo di lui. The more alive your body is, the more you are in the world – “Più il vostro corpo è vivo, più siete nel mondo” (Lowen, 1975, p. 45).

Nota clinica

Quest’ultima citazione introduce a un obiettivo centrale della psicoterapia bioenergetica. Come abbiamo visto sopra, prevale nella nostra cultura un atteggiamento strumentale verso il nostro corpo che facilmente comporta varie forme di alienazione da se stessi. Ciò significa che la familiarità col proprio corpo nonché l’attenzione ai profondi vissuti psico-corporei collegati, non sono per niente scontate; sono perciò obiettivi espliciti del processo terapeutico. Ed è stato lo stesso Alexander Lowen a sviluppare in modo esemplare un’ampia gamma di esercizi bioenergetici atti a promuovere tale consapevolezza corporea (Lowen, 1977).

In fondo si tratta di una rieducazione della percezione e dell’espressione di sé che richiede molto tempo. Tempo non solo nella pratica di esercizi da integrare nella vita quotidiana. Pensiamo qui in primo luogo ai tempi e ritmi del processo terapeutico. Facilmente il terapeuta sottovaluta il fatto che il paziente, per sentire veramente se stesso e entrare in spazi sconosciuti, ha bisogno di tempo. A livello tecnico, il terapeuta deve perciò imparare ad aspettare, a rallentare in certi momenti della seduta il ritmo dell’interazione. Sentire richiede tempo: per esplorare via via i propri vissuti, per trovare le rispettive isole corporee collegate a essi, e per farli propri identificandosi con essi. Attraverso questa identificazione con il Sé corporeo profondo, il paziente potrà infine dire “sono il mio corpo”, I am my body.

Bibliografia

Böhme G. (1988). Der Typ Sokrates. Francoforte sul Meno: Suhrkamp Verlag.

Brown M. (1990). The Healing Touch. An Introduction to Organismic Psychotherapy. Mendocina, CA-USA; trad. it. a cura di Mauro Pini, Maria Teresa Pinardi, Anna Maria Bononcini Il contatto terapeutico. Introduzione alla Psicoterapia Organismica. Tirrenia (Pisa): Edizioni del Cerro, 2007.

Fuchs T. (2010). “Das Gehirn – ein Beziehungsorgan” [“Il cervello, un organo di relazione”]. In: Information Philosophie, (5), 14-25.

Helferich C. (2018). Il corpo vissuto. La cura di sé nell’analisi bioenergetica. Roma: Alpes Italia.

Lowen A. (1975). Bioenergetics. Coward, McCann & Geoghen Inc., New York; trad. it Bioenergetica. Milano: Feltrinelli 1983.

Lowen A. e L. (1977). The Way to Vibrant Health. Harper & Row, New York; trad. it. Espansione e integrazione del corpo in Bioenergetica. Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1979.

Radebold H. (2010). “Können und sollen Psychoanalytikerinnen und Psychoanalytiker lebenslang behandeln?” [”Possono e devono le psicoanaliste e gli psicoanalisti curare a vita?”], in Psyche, LXIV (2), 97-121.

Dott. Christoph Helferich
Psicologo Psicoterapeuta
Analista bioenergetico
Supervisore e Didatta della Società Italiana di Analisi Bioenergetica (S.I.A.B.).

Studi: Via G. C. Vanini 11,
50129 Firenze.
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