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22 Mar

Poesia del cuore, prosa delle circostanze.

Poesia del cuore, prosa delle circostanze

Le mie considerazioni nascono dalla mia esperienza recente di psicoterapeuta. Un mio paziente intorno ai quarant’anni, sposato e con una figlia che frequenta la scuola elementare, si era innamorato di una ragazza di diciannove anni, conosciuta sul luogo di lavoro. Ciò che più mi colpiva in questa profonda crisi personale del paziente, di temporaneo scombussolamento della sua consueta identità, era la tenacia con cui voleva far proseguire questa storia. Nonostante l’ovvia impossibilità di sostenerla, di cui era ben consapevole, si rifiutava o meglio era incapace di chiuderla. Evidentemente questa relazione, peraltro senza agiti sessuali, gli regalava dei vissuti troppo preziosi per rinunciarvi definitivamente. Infatti descriveva il suo stato d’animo in questo periodo come “infinita leggerezza”, “apertura”, “serenità”, e soprattutto come sentita presenza del suo cuore amorevole. Provava insomma un senso dell’esistenza fortemente intensificato e ringiovanito, quello stesso senso d’esistenza espressa magistralmente da una poesia del giovane Goethe dal titolo Neue Liebe, neues Leben, “Amore nuovo, vita nuova”.

Questo scenario ricorda vivamente il periodo del Romanticismo europeo e soprattutto tedesco. Perché è in quell’epoca, circa duecento anni fa, che l’individuo e il suo sentire assume un’importanza assolutamente nuova. In quanto dotato di “interiorità” e “profondità” dell’anima, per il Romanticismo ogni individuo nel suo sentire è singolare, diverso e originale, e dovrebbe perciò vivere all’altezza della propria originalità. Non sorprende perciò che nella visione romantica i valori centrali della persona siano il cuore e l’amore. In questo senso, come scrive il poeta Novalis (1772 – 1801), il cuore è “chiave del mondo e della vita”; il filosofo Hegel (1770 – 1829) chiama conformemente l’amore romantico una “religione mondana del cuore”.

Ma è fin troppo evidente che questo esaltato individualismo, sentimentalismo e idealismo dei romantici doveva per forza scontrarsi con le condizioni elementari del mondo sociale. Pensiamo in primo luogo agli ostacoli posti dalle relazioni familiari in cui vivono i protagonisti, e naturalmente alle esigenze economiche in una società di mercato. Come in uno specchio, i numerosi romanzi dell’epoca testimoniano fedelmente questo conflitto tra gli ideali e i desideri dei protagonisti e i limiti reali del mondo di cui comunque fanno parte. Nella sua Estetica Hegel, il più profondo critico del Romanticismo, ha felicemente definito questa dicotomia come conflitto tra la poesia del cuore e la prosa delle circostanze. E, come dimostra l’esempio del più famoso di questi romanzi, I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe, è possibile che questo conflitto possa risolversi solo tragicamente.

Se siamo passati da un caso clinico attuale al Romanticismo a cavallo tra settecento e ottocento, è per due ordini di ragioni: primo, perché in quel periodo emerge in maniera esemplare e acuita il conflitto strutturale tra individuo moderno e società: ed è davvero sorprendente la chiarezza dei termini in cui, nell’arte e nel pensiero romantico, questo conflitto viene percepito ed espresso.

Il secondo motivo è invece l’intimo legame che ci connette, in quanto psicoterapeuti, col mondo romantico. Infatti, come ho sviluppato in un mio saggio di alcuni anni fa, la psicoterapia è in verità l’erede fedele del Romanticismo.1 Ciò si evidenzia già nell’enorme attenzione con cui ogni singolo paziente e i suoi vissuti vengono accolti in ogni seduta: il regno della psicoterapia è il regno dei sentimenti. E in analisi bioenergetica, l’esperienza corporea come elemento integrale del processo terapeutico tende a intensificare ulteriormente questa dimensione sentimentale-espressiva, spesso rimossa dalla vita del paziente.

Non sorprende perciò che il conflitto tra il singolo e il suo ambiente, tra la “poesia del cuore” e la “prosa delle circostanze” si ripropone puntualmente nel corso di ogni terapia. E forse si ripropone con particolare intensità in tre ambiti cruciali dello sviluppo: nei vissuti complessi dell’adolescenza, nel plasmarsi dell’identità adulta con l’ingresso nel mondo del lavoro, nonché nella midlife crisis, la spesso dolorosa messa in discussione di tutto ciò che l’individuo era finora riuscito a costruirsi.

Vogliamo con queste osservazioni rassegnarci a una depessiva lacerazione esistenziale, alla perdurante conflittualità o meglio contraddittorietà della vita? Certamente no. In quanto new beginning (M. Balint), la psicoterapia cerca di espandere le capacità del paziente di percepire e gestire se stesso, il proprio corpo e l’ambiente con cui vive; mira a creare un nuovo e più appagante equilibrio tra sé e il mondo. Credo che con questa finalità la psicoterapia si avvicini molto a un concetto caro a Hegel, Versöhnung, la riconciliazione dell’individuo con le condizioni della sua esistenza. Questa riconciliazione sarebbe da intendere come accettazione consapevole e benigna della vita e del mondo della vita, des Lebens und der Lebenswelt.

Christoph Helferich

1“L’eredità romantica nell’analisi bioenergetica”. In: Christoph Helferich, Il corpo vissuto. La cura di sé nell’analisi bioenergetica. Alpes Italia, Roma 2018, 101 – 136.

25 Apr

You are your body. Considerazioni sul rapporto tra Io e corpo

You are Your Body

Considerazioni sul rapporto tra Io e corpo

di Christoph Helferich

Introduzione

Nel secondo capitolo di Bioenergetica del 1975, Alexander Lowen, partendo dalla nozione di energia, presenta i concetti-base del suo pensiero. Nel paragrafo Your are Your Body, tradotto in italiano come “Siete il vostro corpo”, scrive:

La bioenergetica si basa sulla semplice proposizione che ogni persona è il proprio corpo [Bioenergetics rest on the simple proposition that each person is his body]. Nessuno è nulla al di là del corpo vivente in cui ha la propria esistenza e attraverso il quale si esprime e si pone in relazione con il mondo che lo circonda. Sarebbe assurdo negare la verità di questa affermazione: sfido chiunque a citare una parte di se stesso che non faccia parte del suo corpo. La mente, lo spirito e l’anima sono aspetti di ogni corpo vivente. Un corpo morto non ha mente, ha perduto lo spirito ed è stato abbandonato dall’anima (Lowen, 1975, p. 44-5).

Il lettore è portato immediatamente ad acconsentire a queste affermazioni, tanto più che l’evocazione della morte non lascia dubbi sull’equazione tra persona e corpo. Tuttavia il discorso di Lowen, che non a caso esibisce una ingenuità di maniera [simple proposition], in verità rappresenta una grande sfida al senso comune. Infatti, a ben pensarci, noi tutti siamo in fondo convinti che il nostro Io, ovvero il nucleo stesso della nostra persona, sia ben più del nostro corpo, sia fatto di parole, pensieri, consapevolezza, e che questo Io risieda non già nel corpo intero, ma in qualche parte del cervello, sede della consapevolezza di sé.

L’identificazione tra “persona” e “Io consapevole” appare talmente ancorata nella coscienza comune, nel nostro quotidiano vivere, che non sarebbe esagerato riconoscerla come common ground della nostra stessa cultura. Ciò renderebbe il principio lowenian You are Your Body semplicistico e riduttivo. Per dirimere meglio la questione proviamo innanzitutto a vedere brevemente le principali ragioni che stanno alla base di questa identificazione tra persona e Io consapevole.

Io – la consapevolezza di sé

La prima e più importante ragione di tale identificazione sta nel rapporto strumentale col proprio corpo. Anche se il nostro vissuto del corpo in verità è molto complesso, si può senz’altro constatare che nella vita quotidiana il corpo è considerato essenzialmente come strumento per la realizzazione dei nostri obiettivi. Il corpo è percepito come se fosse al servizio dell’Io, di un Io timoniere che guida la sua nave secondo il proprio arbitrio. E se la nave poi è anche sufficientemente bella, ciò riesce anche a soddisfare i desideri narcisistici del timoniere.

La seconda ragione dell’identificazione tra Io consapevole e persona è che la nostra percezione del mondo e di noi stessi è mediata dal linguaggio. Il nostro corpo e i nostri sentimenti ci sono accessibili attraverso la mediazione delle parole che li nominano e ce li rendono presenti. Facile dunque identificare il nucleo del nostro essere con la funzione linguistica e in senso largo con i nostri processi mentali, base e medium della consapevolezza di sé, dell’Io.

La terza ragione riguarda la memoria, pilastro della nostra identità, anch’essa situata nel cervello. Anche la memoria è mediata linguisticamente, è racconto composto dai tanti racconti che plasmano il nostro senso di sé. Ripercorrendo il passato con la memoria narrativa, si prova solitamente un senso di continuità intima di sé attraverso il tempo, una specie di “Sé atemporale”, zeitloses Selbst, com’è stato chiamato (Radebold, 2010).

You are Your Body, dunque? Abbiamo elencato per sommi capi tre potenti ragioni per cui tendiamo a identificare il nostro Io, più che col nostro corpo, con la dimensione linguistico-mentale. È un’equiparazione immediata e spontanea, che identifica la base del nostro Io nel cervello, in particolare in quell’area in cui avviene la creazione del linguaggio.

Il corpo come minaccia

Ma esiste forse un più recondito motivo di scetticismo di fronte all’affermazione You are Your Body. Si tratta di una sorta di profonda diffidenza nei confronti del corpo. Viviamo solitamente in uno stato di guerra o comunque di continua preoccupazione e vigilanza sul corpo in quanto sede della nostra animalità, delle pulsioni, della sessualità e delle emozioni in generale. Per ricordare che siamo usciti dallo stato di natura basterebbe pensare al racconto biblico della cacciata dal paradiso terrestre. Siamo esseri culturali, e in un lungo percorso evolutivo abbiamo imparato a dominare la sfera affettivo-pulsionale legata alla nostra corporeità, che rimane comunque un terreno tendenzialmente pericoloso, ed esige vigilanza e controllo continuo da parte nostra. In questo senso, Socrate è stato indicato come modello culturale, come primo rappresentante storico di un individuo autonomo, indipendente e razionale, sulla base di un perfetto controllo della propria affettività (Böhme, 1988).

Se di solito riusciamo comunque a gestire la dimensione sessuale e affettiva della corporeità sufficientemente bene, più difficile ancora risulta accettare l’estraneità e la fragilità in essa insita. Per molti versi, il corpo appare come “altro da sé”, “estraneo”, fatto di ossa, carne, liquidi e altri elementi che seguono delle leggi e dei percorsi indipendenti dalla nostra conoscenza e volontà. Temiamo quest’alterità del corpo soprattutto per la sua fragilità. Il corpo in quanto natura è esposto, minacciato nella sua integrità da pericoli o da malattie anche gravi e comunque fuori dal nostro controllo.

Questo rapporto difficile con la nostra corporeità si aggrava ulteriormente di fronte alla finitudine, alla caducità e alla minaccia della morte. La consapevolezza della finitudine ci caratterizza come esseri umani, e proprio in quanto dotati di consapevolezza, ci differenzia dal mondo che ci circonda. È quella che il filosofo Gernot Böhme ha chiamato un Riss im Sein, una crepa nell’essere, segno distintivo dell’umano.

Il dualismo occidentale

Abbiamo dunque visto fin qui le ragioni che contrastano con l’iconica affermazione di Lowen You are Your Body. Sono le stesse ragioni che stanno alla base del dualismo occidentale, visione in cui l’essere umano appare come composto da due entità o dimensioni, l’anima e il corpo. Secondo tale visione, l’anima solitamente rappresenta la parte più preziosa, se non divina, dell’uomo.

È vero che questa visione oggi è frequentemente messa in discussione, ma è altrettanto vero che per millenni ha profondamente plasmato la cultura e il pensiero occidentale. Perciò è saldamente presente nel linguaggio e nell’immaginario collettivo, così come nella scienza teorica e applicata. Il paradigma dualistico è ancora presente, ad esempio, nelle scienze cognitive, che postulano una coscienza separata dal corpo e dal mondo esterno, o nella chirurgia dei trapianti, in cui il corpo umano è considerato un insieme di pezzi sostituibili a volontà: l’Io o l’anima è comunque altrove.

Considerate le attuali infinite potenzialità della tecnica, potremmo citare molti altri campi d’applicazione in cui il corpo appare come mera res extensa e perciò come puro oggetto della volontà umana. Ma fortunatamente esistono anche delle controtendenze, come l’ambito della medicina psicosomatica. La medicina psicosomatica si basa sulla profonda consapevolezza dell’intimo nesso tra sfera psichico-affettiva e dimensione corporeo-organica e considera l’organismo come unità dinamica delle due sfere nelle loro manifestazioni.

Insieme alla visione dualistica che contrappone Io e corpo, si può osservare una generale consapevolezza diffusa circa l’originaria identità tra corpo e persona. Come già accennato riguardo l’uso strumentale del corpo, sappiamo bene di avere un corpo, il cosiddetto corpo-oggetto. Ma a livello intuitivo-esistenziale sappiamo anche di essere il nostro corpo, il corpo vissuto in cui si esprime la propria personalità (vedi l’Introduzione in Helferich, 2018, IX-XIII). È soprattutto in situazioni estreme come dolori somatici o disturbi sessuali, che all’improvviso il nostro essere corpo si fa imperiosamente notare, mentre solitamente l’esperienza viva del proprio corpo, il corpo vissuto, rimane in retroscena. Perciò la maggior parte delle persone dimostra poca consapevolezza corporea, e la nostra cultura soffre di una generale “dimenticanza del corpo”.

La fenomenologia

Corpo-oggetto e corpo vissuto sono termini coniati e usati in ambito della fenomenologia, la scienza sistematica dell’esperienza soggettiva e delle sue principali strutture. La fenomenologia, che a lungo è stata considerata un sapere filosofico marginale all’ombra della filosofia analitica di stampo anglosassone, da alcuni decenni invece si è notevolmente affermata, contribuendo attivamente a una visione più ampia dell’essere umano. Ci riferiremo d’ora in avanti al pensiero di un rappresentante dell’attuale fenomenologia, Thomas Fuchs, filosofo, psichiatra e titolare della prestigiosa cattedra Karl Jaspers dell’Università di Heidelberg.

All’inizio del suo saggio programmatico “Il cervello, un organo di relazione” (Fuchs, 2010), Fuchs presenta tre tesi incisive: “Il mondo non è nella testa. Il soggetto non è nel cervello. Nel cervello non ci sono dei pensieri”. Con queste tre tesi, l’autore si oppone al paradigma dualistico, attivo nelle attuali neuroscienze cognitive. Come abbiamo già visto, si tratta di un paradigma in cui la coscienza viene intesa come rappresentazione interiore mentale di un mondo e di un Io costruito nel cervello. In questa visione, il corpo funge da macchina di supporto fisiologico dei processi mentali.

Il titolo del saggio di Fuchs invece indica già una diversa impostazione: il cervello è “organo di relazione” di un essere vivente in un concreto mondo circostante. Infatti, il concetto di essere vivente o organismo vivente è per Fuchs l’“entità primaria” (p. 16), il punto di partenza per comprendere il cervello e le sue funzioni come “organo di mediazione”. Questa mediazione avviene secondo l’autore in tre ambiti centrali: in primo luogo, mediazione tra cervello e corpo-organismo, che risultano collegati senza soluzione di continuità in processi circolari di rimandi neuronali, senso-motori ecc., inclusi i vissuti affettivi e cognitivi; in secondo luogo, mediazione tra l’organismo e mondo circostante, accoppiati in una relazione dinamica; infine, mediazione tra l’Io-persona e gli altri nella complessa dimensione dell’intersoggettività, modulata sin dalla primissima infanzia dall’esperienza corporea reciproca.

Tali mediazioni e connessioni circolari stanno anche al centro di importanti sviluppi nelle scienze cognitive degli ultimi decenni, confluiti nella cosiddetta embodied cognitive science. Secondo questo approccio, la soggettività o coscienza è incarnata (embodied) nell’attività senso-motoria dell’organismo, e radicata o situata (embedded) nell’interazione percettiva, senso-motoria, affettiva ecc. col mondo circostante. Fuchs fa l’esempio di una semplice azione strumentale come scrivere una lettera, azione in cui la mano, la carta, la penna e il cervello formano un’unità. È un’unità basata sull’intreccio dinamico e circolare tra cervello, corpo e ambiente; non possiamo separare i singoli elementi lungo un confine netto tra “dentro” e “fuori”, tre “Sé” e “non-Sé”: “Sarebbe altrettanto insensato come chiedersi se l’aria ispirata appartiene ancora al mondo esterno o già all’organismo” (p. 18).

Ricordiamo comunque che nella prospettiva fenomenologica è sempre il corpo vivente l’anello di congiunzione tra le varie dimensioni della nostra esistenza; il corpo è, con le famose parole di Maurice Merleau-Ponty, “il veicolo del nostro essere per il mondo”. All’interno di questa configurazione, il cervello è senz’altro l’organo centrale dei processi mentali, ovvero il luogo dei processi che sottendono la coscienza. Ma di per sé il cervello “non ha coscienza”, è “organo delle possibilità” (p. 24). Possibilità che possono realizzarsi solo nel processo di vita della persona nella sua interezza.

Fuchs chiude il suo saggio con la seguente domanda:

Se il soggetto non è nel cervello, allora dov’è? Io, il soggetto consapevole che fa esperienza e che agisce, non sono nel cervello, ma sempre esattamente là dov’è anche il mio corpo vivente con tutte le sue funzioni biologiche che rendono possibile e che producono i miei stati consapevoli e le mie azioni. Sono un essere vivente e incarnato, e ciò significa allo stesso tempo che non sono in un posto circoscritto ma sempre oltre il corpo, in relazione al mondo e agli altri” (p. 25).

Conclusione

Torniamo in conclusione alla citazione iniziale di Alexander Lowen. Se letta secondo la tradizione del dualismo occidentale, l’affermazione You are Your Body sembrerebbe ridurre la persona a una mera fisicità senza soggetto. Al contrario tale affermazione, se letta in una luce fenomenologica, appare pienamente convincente e lontana da una visione riduzionistica. Del resto, lo stesso Lowen parla poi espressamente del living body, del “corpo vivente” in cui una persona esiste e attraverso il quale si esprime e si relaziona col mondo.

Ancora più chiaramente, nel paragrafo seguente, Lowen a proposito del corpo afferma It is your way of being in the world, “è il nostro modo di essere nel mondo”. Quest’ultima affermazione riecheggia fortemente pensatori come Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty. È come se Lowen avesse qui perspicacemente colto il nucleo della riflessione fenomenologica prima e dopo di lui. The more alive your body is, the more you are in the world – “Più il vostro corpo è vivo, più siete nel mondo” (Lowen, 1975, p. 45).

Nota clinica

Quest’ultima citazione introduce a un obiettivo centrale della psicoterapia bioenergetica. Come abbiamo visto sopra, prevale nella nostra cultura un atteggiamento strumentale verso il nostro corpo che facilmente comporta varie forme di alienazione da se stessi. Ciò significa che la familiarità col proprio corpo nonché l’attenzione ai profondi vissuti psico-corporei collegati, non sono per niente scontate; sono perciò obiettivi espliciti del processo terapeutico. Ed è stato lo stesso Alexander Lowen a sviluppare in modo esemplare un’ampia gamma di esercizi bioenergetici atti a promuovere tale consapevolezza corporea (Lowen, 1977).

In fondo si tratta di una rieducazione della percezione e dell’espressione di sé che richiede molto tempo. Tempo non solo nella pratica di esercizi da integrare nella vita quotidiana. Pensiamo qui in primo luogo ai tempi e ritmi del processo terapeutico. Facilmente il terapeuta sottovaluta il fatto che il paziente, per sentire veramente se stesso e entrare in spazi sconosciuti, ha bisogno di tempo. A livello tecnico, il terapeuta deve perciò imparare ad aspettare, a rallentare in certi momenti della seduta il ritmo dell’interazione. Sentire richiede tempo: per esplorare via via i propri vissuti, per trovare le rispettive isole corporee collegate a essi, e per farli propri identificandosi con essi. Attraverso questa identificazione con il Sé corporeo profondo, il paziente potrà infine dire “sono il mio corpo”, I am my body.

Bibliografia

Böhme G. (1988). Der Typ Sokrates. Francoforte sul Meno: Suhrkamp Verlag.

Brown M. (1990). The Healing Touch. An Introduction to Organismic Psychotherapy. Mendocina, CA-USA; trad. it. a cura di Mauro Pini, Maria Teresa Pinardi, Anna Maria Bononcini Il contatto terapeutico. Introduzione alla Psicoterapia Organismica. Tirrenia (Pisa): Edizioni del Cerro, 2007.

Fuchs T. (2010). “Das Gehirn – ein Beziehungsorgan” [“Il cervello, un organo di relazione”]. In: Information Philosophie, (5), 14-25.

Helferich C. (2018). Il corpo vissuto. La cura di sé nell’analisi bioenergetica. Roma: Alpes Italia.

Lowen A. (1975). Bioenergetics. Coward, McCann & Geoghen Inc., New York; trad. it Bioenergetica. Milano: Feltrinelli 1983.

Lowen A. e L. (1977). The Way to Vibrant Health. Harper & Row, New York; trad. it. Espansione e integrazione del corpo in Bioenergetica. Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1979.

Radebold H. (2010). “Können und sollen Psychoanalytikerinnen und Psychoanalytiker lebenslang behandeln?” [”Possono e devono le psicoanaliste e gli psicoanalisti curare a vita?”], in Psyche, LXIV (2), 97-121.

05 Ott

Recensione: Il Sé cerca il corpo. Manuale di tecniche per l’analisi bioenergetica

Il Sé cerca il corpo

Manuale di tecniche per l’analisi bioenergetica.

Di Vincentia Schroeter e Barbara Thomson

Edizione italiana a cura di Maria Rosaria Filoni

È con grance piacere che presentiamo il nuovo volume appena pubblicato dalla prestigiosa casa editrice FrancoAngeli, Il Sé cerca il corpo. Manuale di tecniche per l’analisi bioenergetica. Con questo manuale Maria Rosaria Filoni, la traduttrice e curatrice dell’edizione italiana, in molti anni di instancabile lavoro ha reso accessibile al lettore italiano un vero e proprio tesoro, una documentazione accurata ed esaustiva delle tecniche di lavoro bioenergetico, a cui tutti possiamo attingere con grande profitto. Il Sé cerca il corpo è la traduzione italiana del volume Bend into Shape. Tecniques for Bioenergetic Therapists di Vincentia Schroeter e Barbara Thomson, due psicoterapeute bioenergetiche di spicco dell’area californiana degli Stati Uniti. Uscito originariamente nel 2011, Bend into Shape nel frattempo è già arrivato alla seconda edizione.

La scelta felice del titolo italiano, Il Sé cerca il corpo, fa intuire che questo manuale non è un semplice repertorio di esercizi bioenergetici e anzi va ben al di là dell’aspetto tecnico del nostro lavoro. Vediamo di seguito, attraverso una breve descrizione della sua composizione, di che cosa si tratta.

Nella prima parte vengono presentate Le basi del lavoro bioenergetico con il paziente, ovvero gli aspetti etici negli interventi, il rapporto tra energia e tecniche in Wilhelm Reich e Alexander Lowen, e infine l’assessment, la valutazione in bioenergetica attraverso la lettura del corpo, le posizioni di stress e non per ultimo attraverso le tecniche relazionali di valutazione.

Nella seconda parte, la parte centrale del volume, si presentano Le tecniche secondo i tipi caratteriali (strutture schizoide, orale, borderline, narcisista, masochista e rigida; su questa particolare impostazione caratterologica si veda la Introduzione all’edizione italiana della curatrice). Colpisce subito l’accuratezza con cui le autrici si soffermano sulla specificità di ogni tipo caratteriale, dall’eziologia alle dinamiche di transfert e controtransfert, dagli tipici schemi di contrazione muscolare a fenomeni come l’energia, il grounding, la relazionalità, l’espressione di sé e la sessualità. Troviamo per ognuno di questi aspetti una serie di proposte esperienziali, spesso accompagnate da utili illustrazioni grafiche, che vanno da semplici esercizi da fare individualmente a esperienze di grande portata emozionale e relazionale. Ci sono del resto anche delle precise avvertenze ricorrenti tipo Nota, Cose a cui prestare attenzione, Cautele, in caso di possibili problematiche insite nel lavoro con un determinato argomento o con una determinata proposta.

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La terza parte del libro sviluppa – sempre in forma di proposte esperienziali – Riflessioni particolari su due ambiti diversi. Il primo ambito comprende problemi specifici come il trauma, la vergogna, l’abuso e l’ansia, argomenti che vengono introdotti e “tradotti” in forma di proposte esperienziali con grande sensibilità e cautela. L’altro ambito di queste riflessioni particolari è dedicato al trattamento di disturbi specifici come il comportamento alimentare, il dolore cronico e le dipendenze chimiche, nonché il lavoro con particolari gruppi di persone (special populations, nell’originale) come i bambini, gli esercizi con gli anziani e il lavoro bioenergetico con le coppie.

La quarta parte del libro, infine, contiene un ampio e prezioso capitolo dedicato alle Tecniche per segmenti corporei: il segmento oculare, orale, cervicale, toracico, diaframmatico, addominale e pelvico. Segue in conclusione un altrettanto prezioso capitolo di Tecniche per problemi emotivi, tecniche per “caricare, contenere e scaricare gli affetti”. Le emozioni affrontati in questo capitolo sono depressione, tristezza, dolore, paura, orrore, rabbia, frustrazione e desiderio.

Speriamo di aver dato, attraverso la descrizione per sommi capi della struttura del libro, un’idea dell’enorme ricchezza di esercizi e tecniche che il libro presenta. Tale ricchezza invita a una riflessione conclusiva.

L’utilizzo di esercizi e tecniche nel lavoro terapeutico è senz’altro un tratto caratteristico dell’analisi bioenergetica, basato sul “grande contributo di Reich, in seguito ampliato da Lowen, che personalità simili hanno simili corpi” (p. 67). Intorno a questa intuizione si è sviluppato, nel corso dei decenni, un enorme patrimonio collettivo di tecniche, di cui molte risalenti alla creatività dello stesso Alexander Lowen. Tante altre tecniche, comunque, sono nate all’interno del grande collettivo bioenergetico, “sono passate di generazione in generazione e se n’è persa l’origine” (p. 20). L’enorme valore di questo volume sta nella raccolta e presentazione sistematica di questo patrimonio di tecniche di cui possiamo davvero essere orgogliosi. E dobbiamo essere grati a Rosaria Filoni di avere reso accessibile questo prezioso patrimonio alla comunità bioenergetica italiana.

Vincentia Schroeter e Barbara Thomson: Il Sé cerca il corpo. Manuale di tecniche per l’analisi bioenergetica. Edizione italiana a cura di Maria Rosaria Filoni, pp. 438, Milano: FrancoAngeli 2020.

Christoph Helferich

17 Mar

Conoscere la Bioenergetica. Seminaio teorico-esperienziale a Firenze, 23 marzo 2019

La Società Italiana di Analisi Bioenergetica (SIAB) promuove una serie di iniziative gratuite aperte a tutti, con la finalità di accrescere il benessere fisico generale e la consapevolezza psicologica. Grazie all’intervento di professionisti esperti, i partecipanti potranno conoscere e sperimentare alcune tecniche basate sull’Analisi bioenergetica, un approccio psicoterapeutico fondato dal medico-analista Alexander Lowen. In questa prospettiva è possibile comprendere la persona attraverso l’analisi dei processi energetici sottostanti alle comuni funzioni fisiche e psicologiche.

Interverranno: dott.ssa Elisa Innocenti (Psicoterapeuta Siab), dott. Christoph Helferich (Psicoterapeuta e Didatta Siab);  dott. Alessandro Armani (Psicoterapeuta Siab).

PROGRAMMA

17.00 ACCOGLIENZA

17.15 INTRODUZIONE Nel segno del corpo: la visione bioenergetica della persona  (Christoph Helferich)

17.45 INTERVENTO ESPERIENZIALE Sulle tracce della memoria: respiro, contatto e movimento (Elisa Innocenti, Alessandro Armani)

18.30 CONDIVISIONE E CONCLUSIONE

La partecipazione è gratuita, la prenotazione gradita. Si consiglia abbigliamento comodo.

Per informazioni e prenotazioni: elisainno@hotmail. com   tel. 348 253 3357

 

22 Apr

Sostegno

3a GIORNATA ESPERIENZIALE DI ANALISI BIOENERGETICA

2016-2017

SOSTEGNO

conduce lo psicoterapeuta

Dott. CHRISTOPH HELFERICH

Sabato 20 maggio 2017

ore 9,30 – 17,30

presso Associazione Centro Yoga Namastè

Via de Nicola, 18

50012 Bagno a Ripoli (Firenze sud)

Per informazioni e iscrizioni: Christoph Helferich – tel. 055/633508

christoph.helferich@gmail.com

sito: www.christoph-helferich.it

Dott. Christoph Helferich
Psicologo Psicoterapeuta
Analista bioenergetico
Supervisore e Didatta della Società Italiana di Analisi Bioenergetica (S.I.A.B.).

Studi: Via G. C. Vanini 11,
50129 Firenze.
Via A. M. Enriques Agnoletti 50, 50012 Bagno a Ripoli (Firenze Sud).

tel. 333 468 9183
christoph.helferich@gmail.com

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